Il Ballo di San Vito

Chi ha il ballo di San Vito non può stare fermo e si muove per la Penisola come un rabdomante senza tregua e senza requiem e trova luoghi e assenze, desideri d'altrove e fuoco immediato della strada e di essere sempre in ritardo per qualche cosa, afferra vorace e deraglia, sempre inseguito dalla magia che si nasconde ovunque e avvolte ci sorpassa addirittura.

Non è una strada, questa, dove c'è spazio a sufficienza per perdersi. E' strada affollata, dove si fatica a trovare spazio per il parcheggio, assiepata di vapori e di volti e di cose afferrate nella loro bruciante pienezza, ardore d'amicizia dove gli amici non sono quelli con cui ricordare ma sono quelli con cui fare adesso, stanotte.

Le strade sono statali, fangose, lamieroni, capannoni luminosi, forni di musica e di luce, locali dove è meglio avere una body guard, dove la birra si ordina piccola che così non si scalda, tra compari dai nervi asciugati che russano come trattori.

Si dice che il pizzicato dalla tarantola possa trovare quiete solo nel movimento continuo.

Prima di omologare il territorio il Paese appare variegato e, soprattutto, è questo Paese, guidando automobili come un ragno nella tela, dalla punta disseccata e rossa delle terre d'Otranto al fango giallo del Pò sotto al ponte del Murazzo: periferie, inferni, accolite di rancorosi che sono loro a trovare te e non tu loro posti che non compaiono sulla cartina.



(Vinicio Capossela)

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